Chiesa madre di Isnello

Benvenuti presso la Chiesa Madre di Isnello.

Dedicata al patrono San Nicolò di Bari, vescovo di Mira, sorge sul vecchio Piano della Sala che si apre sul quartiere Terravecchia.

Nel vostro ingresso vi accompagniamo verso la navata centrale con qualche cenno sul culto.

Ad Isnello, il santo protettore, viene devotamente chiamato Santa Nicola. Dalle fonti parrocchiali si argomenta che San Nicola è stato eletto patrono intorno al 1620 circa ma esistono dei documenti custoditi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana che attestano il suo culto già nel 1308 con questa chiesa dedicata. In merito così scrive Carmelo Virga: ‹‹Occorrendo intanto parlare del gran Taumaturgo San Niccolò, vescovo di Mira, sembra opportuno qui ricordare, che il detto Santo fu eletto patrono principale d’ Isnello ad istanza fatta in nome del popolo dalla rappresentanza municipale all’ autorità ecclesiastica sotto il giorno 17 settembre del 1644. Nell’ anno 1666 cominciò indi a governare questo stato (Isnello) Ignazio, figlio di Pietro Santacolomba; e durante il dominio di lui, e precisamente nel 1693, addì 11 di gennaio, avvenne quell’ orribil Terremoto, che distrusse varie città e comuni dell’Isola con la morte di settantamila persone seppellite tra le ruine. Ma benchè questo comune sentisse gli effetti di tanta sventura coll’atterramento di qualche edificio non ebbe però a deplorare perdita alcuna di vita. In memoria di tanto beneficio sin d’ allora cominciò a solennizzarsi annualmente una festa del detto giorno 11 gennaio in onore del patrono principale del paese San Niccolò di Bari, e tutt’ora continuasi a celebrare.››

San Nicola oggi viene festeggiato nei giorni 5-6-7 settembre e molti abitanti sostengono che il motivo dello spostamento della data sia da collegare alla presenza degli emigrati che ritornano in paese per godere del periodo estivo cosicché anche costoro possano partecipare ai festeggiamenti. La grande devozione verso questo Santo è testimoniata da antichi riti devozionali legati alla sfera matrimoniale e alla vita privata. Presso la statua del Santo si recavano a pregare coloro che erano stati lontani dal paese natìo e anche i giovani che dovevano partire per il servizio di leva. E’ usanza che gli sposi, al termine della cerimonia nuziale, offrano il bouquet della sposa al Santo e, anticamente, gli sposi novelli erano soliti accendere due candele, gesto che rappresentava onore verso il patrono e la richiesta di grazie. Nella cultura isnellese il patrono viene adorato e contemporaneamente temuto, esiste una sorta di dicotomia legata alla figura del patriarca: il maestoso patriarca dispensatore di sommo bene viene anche raccontato come punitore per le azioni negative. Questa sua immagine autoritaria viene accentuata dalla sua imponente rappresentazione oggettiva caratterizzata da un grande mantello e il bastone. Le celebrazioni della festa cominciano qualche giorno prima, annunciate dal suono delle campane e dal vessillo del santo patrono issato sul campanile della Chiesa Madre. Si tramanda nel popolo la credenza che quando si espone la bandiera di San Nicola è segno di buon auspicio che questa si bagni, anche se solo con poche gocce di pioggia.

L’imponente statua lignea di San Nicola fu realizzata nel 1689, quasi certamente da Giovan Pietro Ragona, su committenza del Vicario Curato di Isnello Sac. Santo Bonafede che, nel gennaio del 1690, ottenne dal vescovo la licenza di poter costruire l’altare su cui collocarla. Nel novembre 1811 l’altare dedicato venne trasformato nella prima cappella a sinistra. L’immagine lignea del Crocifisso fu realizzata da Giuseppe Li

Volsi nel 1619 su committenza del sacerdote Filippo Lo Fesi. La tela che fa da fondale è del castelbuonese Di Garbo.

La Chiesa fu costruita nel corso del XV sec., molto verosimilmente sul sito di una antica chiesa a tre navate che occupava l’area dell’attuale presbiterio. Ha subito numerosi cambiamenti nei secoli, fino al ‘600, per poi giungere a noi nell’attuale assetto. Le fonti ci raccontano di una chiesa completamente affrescata, di cui restano poche tracce dietro gli stucchi dell’Altare Maggiore.

La chiesa attuale era certamente conclusa nel 1490, come testimoniato dalla data incisa su una trave del presbiterio, ma nel 1579, venne allungata nella parte che guarda ad ovest con l’aggiunta di un ulteriore arco, l’ultimo, impostato su un pilastro dallo spessore doppio rispetto agli altri. Verso la fine dello stesso secolo fu chiusa la porta che dava sul Piano della Sala, dove c’era un portico, all’altezza dell’attuale Cappella del Crocefisso che ritroverete alla vostra sinistra.

La forma a sesto acuto degli archi testimonia il perdurare, ancora nel sec. XV, delle influenze arabeggianti sulla architettura normanna. Il grande arco trionfale a tutto sesto, di fronte a voi, è stato realizzato nel 1814-15, in sostituzione di un arco più basso, a sesto acuto, che era montato su “iattùna”, cioè mensole, di cui una è ancora visibile, inglobata nel pilastro destro.

Al XV secolo è riconducibile parte del tetto con travi e protomi dipinte anche se i dettagli non sono ben visibili in quanto annerite da fuligine.

Nel pilastro di fondo, che chiude il Presbiterio, sul lato nord-est, sono visibili i resti di un affresco quattrocentesco raffigurante l’Arcangelo Michele.

L’abside è decorato con stucchi datati 1607, opera di Giuseppe Li Volsi da Tusa, realizzati soprattutto grazie al confluire di diversi lasciti, soprattutto dei Sacerdoti Antonino Israeli e Bartolo Bartolotta e dei fratelli Francesco e Giuseppe Coccìa. Per questo, nella grande tribuna campeggia la scritta “charitas multorum me fecit in hunc modum” ovvero “la carità di molti mi fece così”. Quasi certamente il Li Volsi, anche se “in piccolo”, prese a modello la grande tribuna gaginiana del coro della cattedrale di Palermo esistente fino al alla fine del XVIII sec., modello reiterato successivamente con maggiore sfarzo nella tribuna della chiesa madre di Ciminna. Tutta la macchina in stucco ha nascosto e rovinato la grande decorazione pittorica originaria dei sec. XV-XVI e di cui restano, in alto, interessanti lacerti.

Sulla tribuna, domina la figura di Dio Padre nel catino dell’abside e alla quale fanno corona statue di santi e di profeti, con decorazioni di stampo manieristico. Il Reggitore dell’Universo si contraddistingue per la peculiare aureola triangolare che rappresenta la Trinità. In alto sono rappresentati San Michele Arcangelo e l’Annunciazione. Nel registro di mezzo, i re David e Salomone. Nel registro basso, in nicchie sovrastate da angeli reggi-corona, troviamo: alle estremità, gli apostoli Pietro e Paolo e, nell’abside, i santi Giacomo, Nicola, Bartolomeo e Giovanni Battista. Nella nicchia centrale è posta la statua marmorea della Madonna del Soccorso, opera databile tra la fine del XV e l’inizio del XVI sec. di ignoto scultore siciliano. Questo titolo è dato dallo scanello e attestato dalle fonti più antiche. Col passare degli anni, all’icona sono stati attribuiti popolarmente i titoli di “Madonna dell’Udienza” e poi di “Madonna del Rosario”. Nel 1764-65 questa statua marmorea era stata sostituita con una statua lignea dell’Immacolata. Alla fine dei restauri del 1997-99 è stata ripristinata l’antica ubicazione.

Il coro ligneo, realizzato nel 1601, è opera pregevole dei fratelli Giacomo e Giuseppe Mangio.

Di particolare interesse e pregio, e sicuramente l’opera più antica dell’intera Chiesa, è il ciborio, cioè la custodia marmorea, per il SS. Sacramento della omonima cappella, in fondo alla navata sinistra, opera attribuibile a Domenico Gagini, databile tra il 1484-85 grazie allo stemma del Vescovo Francesco Vitale.

Indugiate e soffermatevi su ogni dettaglio di Bellezza.

Il tabernacolo, che conserva la pisside per le ostie, è inserito in uno scorcio prospettico determinato da angeli adoranti, è sormontato da un ricercato baldacchino ed è incastonato tra due eleganti colonne tortili e due angeli che sorreggono un morbido panneggio; nella parte superiore sono presenti Dio Padre benedicente con il libro in mano aperto a simboleggiare la fortissima correlazione tra il Mistero e il suo Manifestarsi. L’atto benedicente del Padre ci indica che Dio vuole proprio la Salvezza, per cui attraverso la Rivelazione, instaura con l’uomo un rapporto di comunicazione simboleggiato dal libro aperto.

Accanto, sui candelabri-pinnacoli, è rappresentata la scena dell’Annunciazione. Nella lunetta, ecco dodici angeli che circondano la colomba dello Spirito Santo. Sull’architrave, tre angeli fanno convergere lo sguardo dell’osservatore verso il baldacchino sotto cui, fra tre angeli in prospettiva, troviamo la porta del tabernacolo.

Spostandosi sulla navata destra, troviamo la cappella “dell’Addolorata”, di cui si hanno poche notizie documentate. Il patronato risulta della famiglia Coccìa fin dall’ultimo quarto del ‘500. Le decorazioni furono eseguite su commissione dal ricco borghese Giuseppe Coccìa e risalgono al primo quarto del ‘600. Gli stucchi sono stati realizzati da Scipione Li Volsi nel 1620 e gli affreschi possono essere attribuiti allo Zoppo di Gangi, Gaspare Bazzano. La pala d’altare di pregevolissima fattura raffigurante “La Deposizione” resta di ignoto autore dopo che era stata attribuita a Giuseppe Salerno, l’altro Zoppo di Gangi.

Il ciclo di affreschi ci è giunto molto deteriorato, presenta un interessantissimo impianto iconologico sulla Redenzione, probabilmente ideato dal figlio del committente, il sacerdote Placido Nicasio Coccìa, teologo e Vicario Curato. La narrazione è mutuata esclusivamente dall’Antico Testamento. Tutto ruota attorno alla centrale rappresentazione, nella volta, della risurrezione della carne, forse, attraverso la raffigurazione della rivitalizzazione delle ossa inaridite nella visione di Ezechiele. Nei grandi quadroni laterali due grandi affreschi emblematizzano la realtà del peccato con la rappresentazione, a sinistra, della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre: Adamo ed Eva, prima “compagni di passeggio del Creatore”, si accompagnano alla morte rappresentata da uno scheletro con clessidra e falce, in una terra dura e arida da rendere produttiva col lavoro e il sudore. A destra, visibile Caino che uccide Abele, dopo aver scelto la morte come “compagna di vita” a rappresentare l’apice raggiunto dal male attraverso l’invidia con, sullo sfondo, le offerte che i due fratelli avevano reso al Signore. Nella volta è invece raccontata profeticamente la storia della salvezza con un sottotema battesimale: l’entrata nell’arca di Noè, Mosè che innalza il serpente di bronzo per liberare il popolo di Israele, il sacrificio di Isacco, la guarigione dalla lebbra di Naam il siro dopo essersi bagnato nelle acque del Giordano, il ritorno degli esploratori prima dell’ingresso nella terra promessa, Mosè che nel deserto fa l’acqua scaturita dalla roccia. Sull’arco, si riconoscono, nonostante gli affreschi siano molto deteriorati, Giosuè che ferma il sole, Giona buttato in mare dalla barca e il pesce che ingoia Giona.

I pregevoli stucchi dell’edicola dell’Ecce Homo e le tele della Cappella di San Giuseppe e del SS. Crocifisso sono della prima metà del ‘900, opera di Luigi Maniscalco.

Da riferire alla munificenza del citato Giuseppe Coccia è anche il maestoso organo a canne, opera del 1620 del grande maestro organaro siciliano Antonino La Valle. La parte lignea fu realizzata da Antonio Macario e fu dorato nel 1623 da Vincenzo Mastruzzo. Recentemente restaurato e inaugurato, risulta perfettamente funzionante.

Nelle vetrine poste sotto l’organo: statue cinquecentesche in legno dorato di Santa Caterina d’Alessandria e di Maria SS. Assunta e due busti reliquiari in legno dorato. Recentemente restaurata la statua lignea della Madonna dell’Odigitria del 1589.

In questa Chiesa si svolgono i solenni festeggiamenti in onore del Santo Patrono, dal 5 al 7 settembre.

La festa è preceduta da un ottavario: ogni sera i devoti si recano in chiesa per la recita del Rosario (crunedda).

Nel pomeriggio del giorno 7 si svolge la “frottola”.

Tutte le feste che si svolgono a Isnello sono precedute dalla “frottola” ed ogni santo ha il proprio componimento musicale e il proprio testo, quasi sempre scritti da autori isnellesi.

Dalla Chiesa Madre, prende il via anche la tradizionale “Fiera della vigilia”, una fiaccolata, alla quale non prendono parte le autorità ecclesiastiche, molto bella, suggestiva e carica di un sapore antico e tradizionale, composta da moltissime persone che sfilano lungo il percorso processionale, reggendo in mano le fiaccole accese e che cantano, in dialetto siciliano, le antiche Lodi a San Nicola risalenti al 1820. Una “vara”, con il piccolo simulacro di San Nicolò, detta “varicedda” proprio per le dimensioni, preceduta da numerosi stendardi, in rappresentanza dei diversi santi che si festeggiano in paese, dalla banda musicale e seguita da alcuni devoti, gira per le vie del paese. Durante il percorso, la banda intona delle marce e, in punti prestabiliti, il corteo si ferma dando possibilità al coro Anima Gentis e ai devoti di intonare la frottola.

Si svolge, inoltre, la solenne processione con il simulacro di San Nicolò. La statua lignea viene trasportata in una sontuosa vara e seguita dalle autorità, dai devoti a piedi scalzi e dall’intera popolazione.

Queste processioni tradizionali, al momento, sono sospese per via dell’emergenza sanitaria in corso.

Proseguite con noi il percorso alla scoperta dei Tesori e delle Tradizioni di Isnello!



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