Chiesa di Santa Maria Maggiore

Benvenuti presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore di Isnello.

La vostra tenace “acchianata” verso il sagrato, sicuramente, sarà stata ripagata da una delle più suggestive

vedute panoramiche che il borgo vi possa offrire.

Carlo Levi, proprio affacciandosi da qui ebbe modo di descrivere Isnello con queste parole: “Guardando di

là il paese, tornavano ai miei occhi le immagini familiari di un paesetto lucano. Isnello gli assomiglia: per

quanto sia più grande, meno povero, più pulito. E’ un paese di pastori, di contadini, piccolissimi proprietari

di una terra divisa in frazioni microscopiche, di artigiani la cui arte è ormai costretta alla decadenza, ma che

ricordano i tempi d’oro in cui si facevano splendidi pizzi, si fondevano campane, si conciavano le pelli e si

soffiava il vetro. Ancora oggi le tre parti in cui è diviso il paese si chiamo Vetreria, Fonderia e Conceria…

paese antichissimo e perciò piena di profonda nobiltà”. Questa descrizione la ritroviamo ne “Le parole sono

pietre”, 1955. Einaudi, Torino) e si innesta nella cronaca della visita al suo luogo natìo di Vincent Richard

Impellitteri , 101° sindaco di New York.

La Chiesa cinquecentesca in cui vi trovate, a navata unica, custodisce una interessante croce pensile dipinta

sulle due facce e raffiguranti, nel recto, rivolto verso est, il Crocifisso e, nell’altra, rivolta verso ovest, il

Risorto. Opera di un pittore siciliano degli inizi del XVI sec., la croce è interessante per la sua impostazione

iconologica e teologico-liturgica. Nel capocroce, in alto, è visibile il pellicano, chiara immagine cristologica,

che nutre i suoi piccoli squarciandosi il petto e sovrasta il drago. Il Cristo risorto, in piedi, sull’avello aperto,

recante il vessillo della vittoria mostra le piaghe aperte. Nei quattro caprocroce, inoltre, sono raffigurati i

quattro Evangelisti, annunciatori della Resurrezione, con il cartiglio riportante l’incipit del loro Vangelo.

Sull’altare maggiore domina la statua in marmo della Madonna con Bambino, poggiata sul suo interessante

basamento. Nello scannello è raffigurata la cosiddetta “Dormitio Virginis” espressiva dell’Assunzione al

cielo di Maria Vergine. La statua venne donata nel 1547 su committenza di Mastro Nicola Xaguata.

Ai lati, due tele raffiguranti “L’adorazione dei Magi” e “La presentazione al Tempio”, opere dell’artista

palermitano Giovanni Meli, del 1736-1737.

Sulla sinistra, troviamo la cappella del Crocifisso, edificata nel 1653, conserva preziosi stucchi dorati

settecenteschi relativi a scene della Passione, lo sfondo azzurro su cui si staglia l’oro è un rimando al colore

del manto della Madonna a cui la Chiesa è dedicata. La cappella è chiusa da una monumentale e artistica

inferriata in ferro battuto con la balaustra in pietra sulla quale sono scolpiti due stemmi con due figure: a

sinistra la mucca con la scritta “charitas multorum me fecit”, a destra la pecora che simboleggiano i pastori

e gli allevatori di Isnello grazie alle cui offerte fu realizzata.

Il Crocefisso ligneo, attribuibile a Fra’ Innocenzo da Petralia va letto come Crocifisso risorto. Da questa

chiesa, infatti, si dipartono dei solenni festeggiamenti nel periodo ricompreso dopo la Pasqua e prima

dell’Ascensione. La Festa del SS.Crocifisso, che ad Isnello coincide col Primo Maggio, è un grande momento

identitario fortemente sentito oltre che di devozione per la comunità intera. Le origini di questa festa sono

antiche e strettamente correlate col mondo agro-pastorale che ha sempre caratterizzato l’economia

isnellese. Era il 26 novembre 1635, quando il Vescovo dell’epoca concesse ai procuratori della Chiesa di

Santa Maria Maggiore di portare in processione penitenziale il Crocifisso in occasione di un periodo di grave

siccità che minacciava la semina di quell’anno. Nel 1638, in segno di ringraziamento fu chiesto e ottenuto diistituire una festa la seconda domenica di settembre, in prossimità del 14 settembre che è la ricorrenza

liturgica dell’Esaltazione della Croce. La stessa festa nel 1684 fu traslata al Primo Maggio e da allora ha

assunto un legame antropologico con le tradizioni agresti del luogo. Il culto ebbe inizio con la Confraternita

dell’Assunta, la quale legata al mistero della fede in Gesù Cristo ha inteso fortificare il legame devozionale

col Crocifisso e la Madonna collocando la Festa nel mese a Lei dedicato attraverso l’istituzione della festa

del Primo Maggio. L’effige del Crocifisso di Santa Maria Maggiore custodisce una vera e propria simbologia

della regalità che, nel giorno della Festa, quando viene allestito per essere portato in processione viene

sottolineata attraverso l’esaltazione di alcuni dettagli, vi invitiamo ad ammirarla e soffermarvi nel dettaglio

attraverso la descrizione che ne ha fatto il Pintavalli: ‹‹La ferita del costato del Crocifisso emette un fascio di

luce simboleggiato da tre frecce in oro. Essa è anche ricoperta da una fasciatura bianca ricamata in oro.

Esistono due fasciature della ferita che vengono indossate alternativamente una per l’ottava e l’altra per la

processione solenne. I tre chiodi in oro, delle mani e dei piedi, poggiano su tre foglie di quercia, anch’ esse

pure in oro. La quercia, in natura, esprime la forza e la potenza, inoltre simboleggia l’albero della Vita. Così

le sue foglie in oro esprimono la potenza e la forza del Re crocifisso e glorioso. All’ incrocio dei legni della

croce si diparte una raggiera, formata da quattro raggi e sormontata da fregi d’ argento che rappresentano

simbolicamente l’identità del Crocifisso. La prima freccia porta impressa l’effigie delle Anime del Purgatorio,

la cui festa si celebra nella stessa chiesa nei giorni 9, 10, e 11 novembre; sulla seconda è scolpita l’immagine

della Madonna Assunta; sulla terza vi è la figura del Crocifisso; sulla quarta vi è la scritta indicante la Chiesa

di Santa Maria Maggiore in Isnello che gode degli stessi privilegi e indulgenza delle quattro Basiliche

Romane. Una pergamena antichissima, con segni a rilievo, dichiara il titolo di possesso del Crocifisso alla

predetta chiesa.›› In paese si respira un clima quasi magico anche nelle settimane precedenti la festa.

L’attesa dell’uno maggio è caratterizzata da eventi simbolici quali la “crunedda” e la sagra della “frittedda”

.

La “crunedda” o coroncina è un’ottava di preparazione che precede la festa, durante la quale si cantano e si

recitano preghiere in dialetto isnellese dedicate alla Santissima Passione, così come viene chiamato dal

popolo il Crocifisso di Santa Maria. Questa funzione ha inizio nel tardo pomeriggio, è fortemente simbolica

e serve a ripercorrere la Passione di Gesù, ed è anche antichissima. In passato recarsi in questa chiesa, per

partecipare a questa ottava era anche un’occasione per le ragazze di uscire: terminata la funzione, esse ne

approfittavano per recarsi verso la piazza e farsi ammirare dai giovanotti che ne attendevano il passaggio

lungo il ciglio delle strade. Il testo della “crunedda” è stato tradizionalmente tramandato oralmente dai

fedeli isnellesi e poi trascritto dal Sacerdote Salvatore Peri. Durante questa funzione, si recita il Rosario con

i soli misteri dolorosi che sono raffigurati su quattro veli che vengono esposti davanti l’altare maggiore a

mò di sipario. In tale occasione, il Crocefisso, opportunamente bardato, viene traslato dalla cappella di

sinistra all’altare. Durante la recita del mistero corrispondente alla raffigurazione disegnata sui veli,

emblematico simbolo del sudario di Cristo, questi ultimi vengono fatti scorrere davanti al Crocifisso verso

sinistra da un sistema di carrucole manuale. In questo modo si ripercorrono anche visivamente le tappe

della Passione di Gesù contemplando e pregando nello specifico sulle piaghe delle mani, dei piedi e del

costato. Tale rappresentazione e tale preghiera tradizionale soprattutto in passato assumeva una funzione

catechetica per il popolo culturalmente più arretrato. In passato, per la vigilia della festa solenne era uso

consumare tutti insieme la frittedda (frittella) una pietanza preparata dai contadini del posto e dal comitato

della festa. Da qualche anno per motivi logistici e consentire di dedicare la vigilia ai preparativi per la

solenne processione e la frottola del Primo Maggio dedicata al Crocifisso, tale “sagra” si tiene il 29 aprile.

Questo piatto della tradizione che si prepara anche in tutte le famiglie riflette le umili origini contadine

della comunità isnellese. Si tratta di uno stufato di verdure a base di fave, piselli, carciofi e finocchi selvatici

cucinati in abbondante olio d’oliva locale, che sono le primizie di stagione, preparato quasi in segno di

ringraziamento per il primo raccolto e in segno di speranza per le raccolte dei mesi estivi. La popolazione

partecipa lieta e numerosa a questo evento tipico, recandosi in massa sulla collina dove sorge la Chiesa diSanta Maria Maggiore, nel sagrato vengono allestite le “quadare” cioè dei grandi pentoloni di rame in cui

viene cotta la “frittedda” e la si gusta in compagni accompagnata da abbondanti libagioni di vino locale. Il

clima di festa prosegue per tutta la serata, accompagnato dalle allegre musiche eseguite in loco dalla

storica Banda musicale Bajardi.

Interessante la dotazione lignea della chiesa. Gli altari sono espressione del barocco siciliano e sono stati

realizzati dal maestro intagliatore palermitano Salvatore Leone. Su quello di sinistra, accanto alla cappella

del Crocefisso, è conservata in una teca la piccola immagine in cera di Maria Bambina “incartocciata” nelle

sue preziose fasce, testimonianza del modo in cui nel ‘700 e fino agli inizi del ‘900 si fasciavano i bambini.

Sull’altare di fronte, è posta la grande tela raffigurante la messa di San Gregorio e le anime purganti del

pittore polizzano Matteo Sammarco, risalente al 1630.

Su una bella cantoria, in cui si alternano nicchie con statue e tele raffiguranti gli apostoli, opera attribuita a

Pietro Bencivinni, è collocato il maestoso organo del 1724, opera di Michele Andronico.

La tradizionale Festa del 1° maggio, particolarmente sentita al pari della festa patronale e culminante nel

momento più solenne che è rappresentato dalla processione, ha un importante funzione di valorizzazione

del sito. La “vara” riccamente decorata e bardata con il Crocifisso viene portata in processione, a spalla,

dall’altura della Chiesa di Santa Maria Maggiore, per tutte le vie del paese, dai membri della confraternita

dell’Assunta che, per devozione, procedono scalzi e vestiti con un particolare costume bianco di lino con

ampie bordure ricamate e una fusciacca azzurra ai fianchi. Particolarmente ornata è la vara del Ss.

Crocifisso, così descritta dal Buttitta: ‹‹[…] in particolare, il baldacchino processionale della varicedda,

recato in spalla da soli quattro portatori, viene addobbato con mazzi di spighe, fave, ramoscelli d’ulivo. Le

fave che arricchiscono il fercolo minore, fatto simbolicamente assai importante, al termine della frottola

vengono distribuite ai presenti che le consumano contestualmente.›› I baccelli di fave vengono posti come

segno di ringraziamento per il raccolto di primavera.

L’inno per la frottola al SS. Crocifisso, il cosiddetto “Canto di Maggio”, è il più popolare e identificativo della

tradizione devozionale, è stato composto nell’anno 1868, data indicata nel volume “Pensieri ed Affetti” di

Cristoforo Grisanti, autore dei versi di questo inno. La musica è del maestro Vito Graffeo, come

chiaramente riportato in calce allo spartito originale

Le Frottole, ossia gli Inni Sacri di Isnello, costituiscono un elemento fortemente caratterizzante l’identità e

la tradizione isnellese, risalenti almeno al XIX secolo, vengono celebrate durante l’anno prima della

processione principale dedicata ad ogni rispettivo santo. Rappresentano ‹‹un inno di lode e di

ringraziamento al Signore e ai Santi con cuore festante e gioioso››; sono state iscritte nel 2014 nel

REGISTRO DELLE EREDITA’ IMMATERIALI DELLA REGIONE SICILIA – Libro delle Pratiche Espressive e dei

Repertori Orali. Si tratta di componimenti fortemente patetici dal punto di vista contenutistico uniti a

musiche solenni, un vero connubio di cultura e religiosità. La frottola ha sempre avuto come caratteristica

peculiare la sua forma d’esecuzione. Si può definire quasi “un corteo religioso variopinto”, ma non una

processione. Sono un’espressione etnica e artistica peculiare in cui convergono momenti di musica sacra,

ora colta ora quasi popolare, e scene policrome di riti processionali inneggianti alla fede e ai doni della

terra. Un’autentica gemma, nello scrigno del folklore religioso siciliano. Una rara e preziosa tradizione non

già per i contenuti storico-musicali che racchiudono di per sé, quanto, invece, per i profondi significati di

fede e devozione popolare che rappresentano. Costituiscono un complesso e fantasioso ricamo di canti ed

inni sacri, con tanto di orchestrazione e strumentazione. Non c’è paese o centro, in Italia e nel mondo, che

possegga una usanza storico artistica di tal genere. Una sorta di DNA intrinseco, la trama di un proprio bendefinito cromosoma culturale, intessuto nel tempo dalla gente di Isnello in tributo ai propri stessi valori di

socialità e di pensiero. Nella sua essenza, la Frottola altro non è che un inno gioioso di lode verso Dio, da

suonare e cantare ogni volta, con la gente che si riversa sulla strada, in frotta festosa per l’appunto, ad

ascoltare. Sono un lieto e fervente preludio, una sorta di preparazione musicale itinerante alla grande

processione della sera a cui partecipa, con ben più profonda intensità d’animo, tutto il popolo di Isnello. A

tali cortei, il clero non partecipa in abito liturgico; muovono nel pomeriggio della festa e sono caratterizzate

dallo sfilare dei vari stendardi e dalla “varicedda”, cioè il piccolo fercolo con la statua del Santo. Ciascuna

Frottola è composta da altrettanti “quadri” itineranti, ciascuno dei quali comprende una propria vara e

l’opera scultorea, generalmente settecentesca, con l’effigie del Santo di turno, sorretta dagli uomini della

Confraternita, il coro polifonico, la banda musicale, il palio con i portatori, i palietti sorretti dai ragazzi e altri

simboli, fiori e frutti legati alla vita dei campi. Non c’è ragazzino che nella Frottola non si sia trovato in

qualche modo a far da protagonista: vuoi come portatore di stendardo o come sorreggente lo spartito dei

musicanti. Nelle fermate stabilite vengono cantati gli inni propri della festa al suono della Banda Musicale. I

brani, i più antichi risalenti alla seconda metà dell’Ottocento e composti fino alla prima metà del

Novecento, sono stati tramandati negli anni dalla tradizione orale e preservati poi grazie all’attenta

salvaguardia della Banda Musicale di Isnello F. Bajardi in quanto particolare testimonianza della tradizione

musicale e culturale del piccolo centro madonita. Tra i compositori, infatti, ritroviamo musicisti del luogo,

ma anche grandi nomi dell’ambiente musicale ottocentesco. La maggior parte dei testi è opera di Sacerdoti

del paese. In merito, così precisa Riggio: ‹‹La frottola non può essere definita processione perché non vi

partecipa il Clero, ma ne ha quasi tutti gli elementi anche se in formato minore: varicedda, piccoli stendardi,

quasi riservata ai ragazzi con la presenza di qualche adulto che mantiene l’ordine, un gruppo di cantori

intona i motivi della festa e tra una sosta e l’altra la banda musicale esegue allegri motivi si svolge un’ora

prima della Processione. Il termine deriva dall’espressione “a frotta”, collegato appunto alla partecipazione

in massa dei fedeli a tale corteo. Sostanzialmente è una manifestazione liturgica singolare. Anticamente

esistevano a Isnello dei cantori, se così si possono definire, che eseguivano i testi con un accompagnamento

musicale. Man mano che costoro si allontanarono da questo compito col passare degli anni la scena si andò

svuotando: nessuno infatti era in grado o si sentiva all’altezza di interpretare questi testi. Questa crisi

investì la tradizione isnellese circa un decennio fa per poi tornare ancora più carica. Nel 2006 infatti il

Maestro A. Sottile ebbe l’idea di formare un coro costituito dagli abitanti di Isnello. Oggi questa realtà si

chiama Coro Anima Gentis ed è formato da oltre cento membri, il coro è il nuovo partecipante al

corteodella frottola odierna, e si è sostituito a quegli antichi cantori. Tra le tradizioni di Isnello è quella che

si è evoluta notevolmente pur mantenendo l’essenza originaria. Il Grisanti, in un testo che risale al 1845,

narra così il modo in cui si svolgeva in quell’epoca questa tradizione: ‹‹L’altra cosa che ti dà all’occhio è il

giro che, verso le tre pomeridiane, dopo un lungo sparo di mortaretti e fra il lieto scampanare di tutte le

chiese, si fa per le solite vie la vigilia e il giorno della festa. Vi prende parte grande numero di popolo,

eccetto le donne. Precedono i tamburini in zimarre di damasco bianco e cappelli dello stesso colore, a

larghe falde e gallonati d’oro; poi gli stendardi maggiori portati, sotto la guida dei poveretti, da giovani

contadini, borgesi e pastori, che, premurosi di sposarsi, vogliono alle fanciulle, le quali ben vestite e

pettinate, son tutte occhi alle terrazze, ai balconi alle finestre o colle mamme loro sugli usci delle case e agli

sbocchi delle vie, mostrarsi abili a portarli dritti come le candele, e capaci di sostenerli, ancorchè alti e

pesanti sulla palma della mano, sul pugno chiuso, sulla spalla, sulla fronte, sui denti, indi gli stendardi

minori, la banda musicale, l’orchestra, i cantori e spesso cori di giovanetti informa di angeli che qua e là

cantano l’ inno d’occasione; in fine la bara, cui segue grande frotta di popolo, d’ onde il nome di frottula a

questa processione. Nei tempi andati, ora non più, invece di bara c’era il carro tirato da buoi […]. I più ricchi

e divoti proprietari portavano in giro pendenti da una lunga asta le fardi (falde, tessuti bellissimi in seta,

rossa, verde, rosata, cerulea, argento od oro) […] i più savi lungole vie facevan fuochi di gioia con pistole,fucili e carabine.›› Queste righe ci permettono di captare il forte senso festoso che aveva in quegli anni e

d’individuare le affinità e divergenze con l’esecuzione odierna. In quei tempi era maggiormente carica di

effetti scenici. Oggi la manifestazione si è ridimensionata rispetto all’XIX secolo ma comunque mantiene i

caratteri peculiari che la caratterizzano. La frottola ha inizio nelle prime ore del pomeriggio. Nell’ordine

aprono il corteo come se fosse una sfilata i pali e i paliceddi seguiti dalla banda musicale, il coro, la

varicedda ed in ultimo il popolo.

Riportando la nostra attenzione sul caratteristico sagrato acciottolato e sulla scalinata, si gode di una vista

mozzafiato da quella che è una vera e propria terrazza panoramica e osservativa che si presta a sessioni di

astronomia e astrofotografia, inoltre, l’ottimale acustica garantita consente nelle serate estive di realizzare

eventi musicali quali concerti di musica popolare e folkloristica.

Alzando gli occhi al cielo, noterete la ragguardevole guglia del campanile maiolicato che svetta sul

panorama, riecheggiandone i colori che virano dal blu, al giallo, al verde. Rivestita da mattoni di cotto

policromi, tagliati a cuneo e smaltati solo nella parte esterna, rappresenta una delle particolarità del

paesaggio madonita. Ogni borgo delle Madonie ne conserva almeno uno con motivi e colori tutti suoi.

La Chiesa di Santa Maria Maggiore è, inoltre, sovrastata dai ruderi del Castello di epoca bizantina ed è uno

dei punti di sosta del sentiero geologico urbano. Si suppone che sia stato eretto nel secolo VIII, periodo in

cui i Bizantini in Sicilia operarono un grande processo di fortificazione per impedire la conquista dell’isola da

parte dei Saraceni.

‹‹Isnello è voce corrotta di Asinello nome che trae spunto come è usuale per molti centri siciliani proprio

dal fiume che vi scorre›› scrisse il Virga sulle origine del borgo che, a sua volta, deriverebbe dal siriaco

“Hassin” o dal punico “Hassinor” che denotano la presenza di un corso d’acqua. Popolazioni preistoriche,

vivevano nelle grotte del territorio isnellese già nell’Eneolitico. In seguito, dagli arabi il centro fu

denominato Menzil Al–Hamàr che letteralmente significa “oppidum cum castro”, ovvero cittadina

fortificata con castello. Dopo l’espulsione dei Saraceni l’abitato riprese l’appellativo di Rocca dell’Asine. In

un diploma di Manfredi, figlio dell’imperatore Federico II, viene nominato “castrum asinelli” e, in seguito,

nel secolo XIV Il dominio arabo ha lasciato segni tangibili dai nomi della toponomastica fino all’assetto

urbanistico del centro, tutt’oggi osservabile, infatti il paese sviluppatosi ai piedi del castello, man mano che

si espandeva ha dato forma a quattro quartieri separati ad incrocio. Segni indelebili della dominazione

araba si ritrovano nellabtoponomastica si noti Caciciu, Cuba, Culìa, Farchiu, Fulìa, Favara, Galefina, Garrafu,

Innusa, Piràci, Sciucca, Sciaricu, Suvaca.

Per conoscere altri dettagli sulla storia di Isnello, proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta dei suoi

tesori…

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