Benvenuti nella Chiesa della SS. Annunziata di Isnello. Vi accompagneremo alla scoperta di preziose testimonianze barocche e curiosità. Costruita tra il 1615 e il 1625 su una preesistente chiesa medievale, la chiesa si presenta a tre navate con un tetto a capriate. L’area celebrativa è riccamente decorata con stucchi dei fratelli Messina di Isnello, dorati e dipinti da Gaspare Abbate, sempre da Isnello, che è anche l’autore degli affreschi realizzati tra il 1724 e il 1725. Nella cupola ribassata è raffigurata l’incoronazione della Vergine a cui fanno corona 4 tondi raffiguranti le sante siciliane Agata, Lucia, Oliva e Rosalia; sotto, quasi a reggere la cupola, i quattro evangelisti e, nella volta retrostante l’altare, la risurrezione di Cristo. Le due imponenti statue in stucco di Costantino e di sua madre Sant’Elena, addossate ai pilastri, indirizzano l’attenzione verso il tabernacolo dove è conservata la reliquia della Croce. Questo tabernacolo marmoreo, alterato nelle sue forme classiche originarie dalle superfetazioni barocche, è proveniente dalla primitiva chiesa medievale. Come pure proveniente dall’antica chiesa è il gruppo marmoreo dell’Annunciazione, collocato sulla soglia del presbiterio: realizzato nel XVI sec. su commissione della famiglia Santacolomba, è da ascrivere ai modelli espressivi gaginiani. Nel presbiterio si trova il pregevolissimo organo realizzato nel 1625 dal maestro organaro siciliano Antonino Andronico e qui trasferito, per motivi statici, dalla cantoria che, invece, si trova sulla porta. Il valore di quest’organo è dato dal fatto che non ha subito alterazioni e ha conservato inalterati i suoi elementi costitutivi, dalle canne originarie alla trasmissione meccanica e offre le sonorità specifiche e tipiche di uno strumento seicentesco. Per la sua collocazione l’organo può essere ispezionato anche nella parte posteriore e capito nella semplicità-complessità della sua struttura. Di particolare interesse è la tela, nella navata destra, raffigurante l’Adorazione dei pastori, dipinta da Giuseppe Salerno (lo Zoppo di Gangi) nel 1620. Con questo pseudonimo si indicano due pittori madoniti, il Salerno appunto e Gaspare Bazzano, nati a Gangi nella seconda metà del XVI sec. accomunati, anche se la notizia non appare altamente probabile, dal fatto di essere entrambi claudicanti. Il Bazzano si formò a Roma e fu maestro del Salerno che poi, a sua volta, sviluppò la personalità più spiccata ed emergente tra i due artisti. L’esperienza consolidata dai due artisti ha gettato solide basi per la rielaborazione del “manierismo siciliano”, caratterizzato da colori forti e raffinati e da un tratto stilistico incisivo definibile come una sorta di “Zoppo di Gangi methodus”. La voluta “sproporzione” di alcuni elementi e l’impostazione generale del dipinto ci rivelano un pittore che piega il linguaggio formale al contenuto teologicoUn sole luminosissimo nella parte più alta del dipinto illumina la scena celeste degli angeli musicanti ma lascia totalmente nell’oscurità la fascia “terrestre” che rappresenta la scena dell’adorazione dei pastori. Il sole, con esclusivo significato simbolico, se da un lato è legato alla data del Natale (dies natalis solis invicti), dall’altra è elemento della teologia giovannea della Luce che splende tra le tenebre e che non è stata accolta. In asse col sole, infatti, troviamo il Bambino, estremamente sottodimensionato, piccolissimo e potremmo dire brutto, col suo ditino in bocca, totalmente nudo, in una capanna buia, in una espressione di totale debolezza. Con questo linguaggio l’autore ha voluto esprimere la teologia dell’incarnazione della lettera ai Filippesi di San Paolo in cui si dice che Cristo non solo si spogliò della sua divinità, ma quasi anche della sua umanità, facendosi “schiavo” e andando incontro alla morte di croce. Nella oscurità e piccolezza del mistero della nascita è intuito e adombrato il mistero della morte. Un senso di meraviglia e quasi di incredulità pervade le figure di San Giuseppe e dei pastori e le loro mani grandissime rendono palese questo muto linguaggio. Solo Maria, con il suo sguardo mesto e le sue grandi mani in preghiera e i due angeli alla sua sinistra in adorazione, sono consapevoli del mistero. Degne di nota anche una tela raffigurante San Francesco di Paola del 1622, una statua lignea di Sant’Antonio da Padova del 1636 e una statua di San Giovanni Battista del 1587 realizzata da Giuseppe Mangio di Collesano e dipinta dal pittore napoletano Cesare Puzi, autori della coeva Madonna dell’Odigitria conservata in Chiesa Madre. Portandoci nuovamente all’esterno, uscendo sulla destra, è possibile osservare un Pendolo di Foucault, realizzato da Romano Serra, astronomo dell’Università di Bologna. Sulla facciata della Chiesa è una meridiana solare, opera di Giovanni Paltrinieri, gnomonista in Bologna e, all’interno della Chiesa e una iscrizione che rende l’idea dell’importanza attribuita al tempo e alla femminilità nella tradizione del borgo, così come testimoniato dalla statua equestre femminile della Madre Madonita che accoglie i visitatori all’ingresso del paese lungo i tigli di Viale Impellitteri con affaccio sulla Gola di Isnello. Affacciandosi dalla terrazza osservativa in cui consiste l’ampio sagrato della Chiesa, nelle notti serene è osservabile un cielo molto nitido ideale per l’osservazione del cielo e l’astrofotografia. Di giorno, il suggestivo panorama consente di fare una digressione sui borghi limitrofi e di riflettere sulle peculiarità della storia isnellese rispetto alle sorti del territorio circostante quasi del tutto inglobato nella Contea dei Ventimiglia di Geraci dalla seconda metà del XIII secolo in poi. Com’è noto dalla storia siciliana gli Arabi divisero la Sicilia in tre ripartizioni amministrative denominate Valli, e Isnello trovandosi nell’estremità nord-occidentale di Valdemone fu aggregata direttamente a Palermo. In epoca normanno-sveva il territorio di Isnello diventa Regio Demanio e si accresce attorno al nucleo del castello. A seguito della conquista normanna in Sicilia, il conte Ruggero si dedicò alla propagazione di edifici ecclesiastici, in quanto fu ripristinato il culto del Cristianesimo che era stato sostituito dall’ islamismo. ‹‹Amministrativamente in questo periodo Normanno Isnello fu di regio diritto, sotto l’immediata giurisdizione regale››. In seguito dalla storia si evince che nelle varie dominazioni che presero piede in Sicilia dopo l’impero normanno il quadro storico d’Isnello fu simile a quello dei piccoli paesi che non possedendo un’importante tradizione storica furono appannaggio di volta in volta di vescovi, baroni e Conti ai quali venivano assegnati dai sovrani di turno. Vi sono delle date storiche importanti per la storia isnellese. Tra queste il 1282 l’anno della Rivoluzione del Vespro, rappresenta la perdita della condizione demaniale, poiché il suo territorio era stato concesso in feudo dalla monarchia aragonese pur rimanendo prerogativa del potere regio la giurisdizione civile, amministrativa e giudiziaria. Di tale parentesi storica Riggio fornisce una dettagliata analisi storica: ‹‹In verità, prima ancora della rivoluzione, Isnello con Gangi, le Petralie e Gratteri, ricadeva sotto la signoria di Enrico I Ventimiglia (1226-1266), Capitano e Vicario del regno di Napoli, Conte di Geraci e di Ischia Maggiore. Il conte di Geraci aveva ottenuto la signoria sugli altri paesi delle Madonie da Re Carlo I d’Angiò, a fianco del quale si era schierato nel 1263- 65 nella campagna per la conquista della Sicilia contro la dinastia sveva. Il dominio dei Ventimiglia su Isnello durò per tutto il periodo angioino fino al Vespro del 1282, quando i Siciliani si rivoltarono contro il malgoverno dei francesi che avevano portato l’isola quasi alla miseria. Nella lunga guerra dei Vespri, che si protrasse fino al 1302 Isnello seguì le sorti dei Ventimiglia, che per ben due volte furono privati di tutti i loro beni […]. Non riebbe tuttavia la baronia di Isnello, che nel 1296 dallo stesso re era stata donata a Nicolò Abbate la cui famiglia la detenne fino al 1377, quando la vendette al Conte Francesco II Ventimiglia.›› Dalla fine del XXII secolo sino a parte del XV, durante le dominazioni angioina-aragonese la storia del centro s’intreccia con quella dei casati che si alternano: gli Abbate, i Filangeri, i Ventimiglia, i Santa Colomba. Alla morte di Francesco Ventimiglia (1388) il dominio madonita seguendo il volere di quest’ultimo venne diviso fra i due figli Enrico III, che fu conte di Geraci, e Antonio conte di Collesano. Il dominio dei Ventimiglia su Isnello ebbe finecon Costanza, contessa di Collesano, che andò poi in sposa in seconde nozze ad Arnaldo Santa Colomba nobile catalano. I Santa Colomba dominarono il paese per un lungo periodo. Le costruzioni riconducibili a tale periodo ossia le chiese di S. Maria Maggiore, di S. Michele e la Chiesa Madre, rivelano il passaggio dell’abitato dall’iniziale funzione prevalentemente militare ad una fase successiva caratterizzata da un forte sviluppo demografico e urbanistico. A seguire varie successioni famigliari portarono poi nel 1547 alla vendita dei feudi di Madonia, Chiusa, Culìa, Piano Zucchi in favore della moglie Eleonora Agnello di Francavilla la quale divenne Signora di Isnello nel 1576. Pietro Santa Colomba per la cessione della madre ereditò la baronia nel 1586, e alla sua morte gli succedette il figlio Arnaldo III. Quest’ultimo nel 1625 chiese al re di Sicilia Filippo IV di innalzare la baronia di Isnello a contea. Il privilegio venne concesso. Renda evidenzia un evento determinante per la storia isnellese ovvero la vendita da parte di Re Alfonso V d’Aragona, I di Sicilia: ‹‹…ad Arnaldo Guglielmo Santacolomba del mero e misto impero sulla terra e da allora in poi l’amministrazione civile, privata e pubblica, e la stessa amministrazione giudiziaria penale, compreso il diritto di vita e di morte, divenne prerogativa del feudatario›› In parole semplici il mero e misto impero era un diritto (jus) complessivo, corrispondente al potere assoluto: comportava infatti la giurisdizione in campo civile, amministrativo e penale. Raramente il re trasferiva il suo pieno potere alle autorità feudali18 ma comunque sotto gli Aragonesi Isnello non fu l’unico a subire il predominio dei feudatari. È facile notare come nel corso dei secoli il piccolo paese sia stato sballottato tra varie dominazioni ricevendone sia privilegi che ricadute negative. Decisamente fondamentale per la storia di Isnello fu il riscatto dalla feudalità dopo oltre tre secoli di sottomissione. A tal proposito Virga narra: ‹‹Sotto il governo di Re Ferdinando, e propriamente nell’ anno 1788, gli abitanti del nostro comune, non potendo più sopportare le vessazioni e gli arbitrii del dominio dè baroni, che godevano l’esercizio del mero e misto impero, concesso nell’ anno 1453[…] vollero ricomprarlo, e all’ uopo chiesero facoltà dal luogotenente principe di Caramanico, succeduto nel vicereame a Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina.›› Renda sottolinea la singolarità dell’evento: Isnello ha abolito la sua feudalità circa un quarto di secolo prima che ciò si verificasse con la prima Costituzione siciliana del 1812 che segna appunto la data in cui il Parlamento Siciliano abolì il feudalesimo, nonostante il forte dissenso dei giuristi e dei baroni che miravano alla salvaguardia dei loro interessi che chiaramente con questa importante abolizione erano non più in primo piano. Così nel 1788 è verosimile l’idea che concretamente Isnello si affrancò dal feudatario e ottenne la tanto sperata libertà: ‹‹In seguito, sotto il governo di re Ferdinando, e propriamente nell’ anno 1788, gli abitanti del nostro comune, non potendo più sopportare le vessazioni e gli arbitrii del dominio de’ baroni, che godevano l’esercizio del mero e misto impero, concesso nell’ anno 1453, […] dal re Alfonso ad Arnaldo Santa Colomba […] in tal modo gli abitanti di Isnello furono svincolati dall’ autorità baronale, che esercitavano i conti sovr’essi. Ed un tal fatto avvenne priachè fosse abolita la feudalità interamente la feudalità in Sicilia nel 1813, per decreto del parlamento, col volontario assenso de’ baroni del regno.››

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